I corrispondenti
Il corpus delle lettere consente di avere un quadro d'insieme delle relazioni intrattenute da Vespasiano con gli umanisti del suo tempo. "Non c'è lettura più istruttiva di un epistolario, per penetrare nel mondo vivo, vero e geloso di un autore" (Marti, p. 203).
Vespasiano riceve, dai corrispondenti, richieste relative alla produzione di copie della tradizione classica e contemporanea, fornisce informazioni in merito alle disponibilità dei volumi in circolazione, contratta prezzi per lavori, accetta indicazioni precise sulle caratteristiche dei testi da produrre, propone scelte bibliografiche. Con alcuni corrispondenti Vespasiano intrattiene dunque solo rapporti commerciali ed è interessante seguirne le vicende.
Podocataro e Perotti
Curiosa la richiesta di Filippo Podocataro, letterato cipriota al servizio di un vescovo d'Ungheria alla ricerca di copisti disposti a lavorare "ad fragmenta", vale a dire secondo il sistema della pecia, e quindi a trascrivere parti di codici; Vespasiano gli comunica che si possono trovare solo copisti che accettano di lavorare su un codice intero in modo tale che ogni pagina del codice abbia cinquanta righe e ogni linea settanta lettere e conclude proponendo il prezzo di sei grossi per ogni volume. A questo si aggiunga anche la precisazione di Vespasiano sulla possibilità di fornire uno specimen del modello della scrittura, vale a dire dell'aspetto della grafia ("littere scriptoris [..] formam misissem" [lettera 2]). Una pratica diffusa in questo periodo, che attesta però le esigenze dei committenti, che spesso confidano in Vespasiano e si affidano completamente a lui, ma che non facilmente si accontentano della qualità della copia, anche dal punto di vista dell'aspetto materiale del volume.
Anche con Niccolò Perotti, a servizio del cardinale Bessarione, Vespasiano intrattiene rapporti essenzialmente di natura commerciale. Dobbiamo supporre che il libraio contribuì alla formazione della raccolta dell'umanista, anche se i codici del Perotti giunti fino a noi, e conservati nel fondo Vaticano, non provengono dall'officina del Bargello (sulla biblioteca del Perotti cfr. Mercati, Per la cronologia, pp. 129-139). La documentazione attestata consiste in due lettere, risalenti agli anni 1453-54, quando Perotti svolgeva la funzione di segretario per il cardinale niceno in Bologna, ma dobbiamo supporre che lo scambio fra i due sia stato molto più intenso e duraturo nel tempo. È Perotti che gli comunica l'invio di danari per la copia di un volume e gli chiede di legare nuovamente un codice, in coperta nera o morello, "più magnificamente si può" (lettera 9) e ancora si preoccupa della qualità della legatura, richiede una coperta in cuoio, si premura dell'assetto del codice ("fate che ciascuno riveggha el suo quinterno, accioché non sia falso"), si dispiace che un volume di vite plutarchee sia "di due mane" (lettera 10).
Sembra dunque strano che Vespasiano riferisca al Podocataro dell'impossibilità di trovare copisti che accettino di lavorare "ad fragmenta" perché era un sistema diffuso e lo stesso Perotti lamenta la possibilità di errori nella ricostruzione dei quinterni in fase di legatura. Possiamo però ipotizzare che la richiesta del Podocataro, a noi non pervenuta, vertesse sulla possibilità di ottenere solo una parte di un codice e questo, evidentemente, non era previsto nel meccanismo della copia.
Jouffroy e Gray
Analoghi rapporti commerciali Vespasiano strinse al di fuori
dell'Italia. Gli stranieri sono particolarmente attivi nella
ricerca di manoscritti e trovano nell'imprenditore fiorentino
un commerciante in grado di soddisfare le loro esigenze. È
con Jouffroy e Gray che Vespasiano iniziò il suo commercio librario
(cfr. De la Mare,
New research, p. 401), vendendo codici in suo possesso e
affidando a copisti il compito della trascrizione.
Vespasiano intrattenne assidui rapporti con il Gray, anche se
è rimasta ad attestare il legame una sola missiva (lettera
5), e ne tracciò la biografia (Vite,
p. 284 [I, 307]); dal profilo steso da Vespasiano si evince
che il Gray, inglese di casa reale, trascorse un lungo periodo
in Italia, alla ricerca di testi classici, soggiornando anche
a Firenze dove si fece copiare dal libraio numerosi manoscritti.
Il Gray lasciò tutti i suoi codici in eredità
alla biblioteca Balliol di Oxford (R.A.B.
Mynors, pp. XXV-XLV). Il 1445 è l'anno in cui Vespasiano
fece realizzare per lui, da due dei suoi più attivi copisti,
un corpus di opere ciceroniane in cinque volumi (attuale Balliol
coll. MSS. 248A-E), lavoro concluso nel 1447, e la Naturalis
historia di Plinio (attuale Balliol coll. 249). Ma anche negli
anni successivi, tra il 1447 e il 1448 gli stessi scriba, direttamente
collegati a Vespasiano, portarono a compimento lavori per il
Gray (cfr. De
la Mare, New research, pp. 401-402, n. 46 e Ead,
Vespasiano and Gray, pp. 177-179). Nessuno dei codici menzionati
nella lettera risulta però dal catalogo del Balliol (ma
cfr. De
la Mare, Vespasiano and Gray, p. 175). Possiamo affermare
che comunque nel 1448 i rapporti fra i due fossero ancora attivi.
Anche il Jouffroy, monaco francese, vescovo di Arras dal 1453
e nominato cardinale nel 1461, fu tra i primi committenti di
Vespasiano. A lui il libraio vendette nel 1446 una copia dell'Etica
aristotelica, nella traduzione latina del Bruni, identificabile
nel ms. Vat. Lat. 3000 (Mercati,
Una lettera, p. 358). Il Jouffroy divenne noto agli umanisti
per la scoperta di un manoscritto contenente il commentario
di Donato a Virgilio, che portò in Italia nel 1438 (Sabbadini,
Le scoperte, p. 194). Come desumiamo dall'unica lettera
rimasta (lettera 20) il
Jouffroy aveva commissionato a Vespasiano, tra il 1460 e il
1461, la serie dei commentari di San Girolamo fra cui alcuni
già consegnati (quattro volumi del commentario a Nuovo
e Vecchio Testamento), uno concluso (Girolamo sopra Isaia),
un altro, già in possesso del libraio in attesa di istruzioni
(sopra Matteo e Marco), ed altri in eventuale compimento, secondo
i desiderata del religioso (i restanti commenti sopra le Sacre
Scritture). A questo si aggiunga la proposta di Vespasiano del
De preparatione evangelica di Eusebio, evidentemente già
commissionatogli dal Jouffroy e che Vespasiano già possedeva
in un volume fiesolano (Laur. Fies. 57). La maggior parte dei
manoscritti posseduti dal Jouffroy sono identificabili dalla
presenza del suo ex-libris, o dallo stemma, e sono confluiti
nella Vaticana (cfr. Mercati,
Una lettera e Lanconelli,
pp. 275-294). Tutta la serie dei numerosi manoscritti prodotti
o venduti da Vespasiano al Jouffroy riporta una nota di produzione
della scuola, ma nessuno dei codici presenti nella lettera è
riconoscibile nel fondo Vaticano (cfr. Sabbadini,
Le scoperte, pp. 194-195 e p. 206 e De
la mare, New research, p. 424 e App. III n. 43, 44, 10,
11, 1-3, 5, 15).
Anche questa lettera è un chiaro esempio di corrispondenza commerciale,
da cui si evince che Vespasiano propone volumi, contratta sul
prezzo, lusinga il suo interlocutore, si lamenta delle difficoltà
della copia, procede con il lavoro con calma, visto che il Jouffroy
è lento nei pagamenti.
La famiglia de' Medici
Le stesse attenzioni presta Vespasiano in molte delle lettere scambiate con la famiglia Medici. A Piero de' Medici comunica lo stato di avanzamento delle miniature e delle abbreviazioni; informa Cosimo circa il lavoro di Fiesole; loda il Magnifico per il "sito di quella libreria" che diverrà, nel secolo successivo, la Mediceo-Laurenziana. Con i Medici il rapporto è stretto e duraturo negli anni e la biblioteca della famiglia può, a diritto, essere considerata la più ricca raccolta privata del Quattrocento.
Da una lettera a Lorenzo il Magnifico datata 1476 (lettera
32) apprendiamo che il nostro venne "allevato" in casa Medici
"per anni trentacinque continovi" e quindi probabilmente dal
1440 circa, all'epoca del patronato di Cosimo, figura così
importante per la vita e la professione di Vespasiano.
Bandito nel 1433 dalla fazione avversa, l'anno successivo Cosimo
ritorna in Firenze; il 1434, come noto, è anno decisivo
nella storia istituzionale fiorentina per l'inizio del governo
personale di Cosimo. Governo che condusse alla cacciata da Firenze
di alcuni cittadini che Vespasiano riteneva esemplari (Palla
Strozzi, e Rinaldo degli Albizi, ma anche Giannozzo Manetti).
Dice Caprin "ma non faceva politica il libraio" (Caprin,
p. 146). Certo non la faceva attivamente, ma sicuramente le
lettere attestano il vivo interesse di Vespasiano per le vicende
che turbano la quiete fiorentina. Se quindi l'umanista non avversa
Cosimo non è tanto per un disinteresse nelle questioni
di ordine politico, ma per la grande munificenza che Cosimo
mostrò nei suoi confronti. Nella lunga e dettagliata
biografia, redatta da Vespasiano (Vite,
p. 722 [II, 167]), Cosimo viene presentato in tutta la sua complessità
di uomo politico, ma ben presto il discorso cade su ciò
che più sta a cuore al nostro abile imprenditore: i libri
e le biblioteche. I libri per mostrare la passione di Cosimo
per il patrimonio manoscritto, il desiderio di conoscenza della
cultura classica e la sete di sapere; le biblioteche perché
è Vespasiano che rende possibili le due grandi iniziative
di Cosimo, mirate alla creazione di luoghi di accesso pubblico
al patrimonio librario: la biblioteca di San Marco e quella
della Badia di Fiesole. Due forniture massicce di volumi, venduti
dal cartolaio, o usciti dall'officina del Bargello, e che Vespasiano
annovera fra le operazioni meglio riuscite nella sua professione.
È dalla lettera di Vespasiano a Cosimo, inviata da Firenze
fra la fine del 1463 e l'inizio del 1464, che il nostro ci fa
sapere di aver quasi completato l'impresa di Fiesole e di necessitare
di alcuni esemplari presenti in San Marco (lettera
26). Ma l'ammirazione di Vespasiano, oltre che per l'intrapresa
di gusto bibliofilo, è anche per il rinnovato assetto
architettonico che la signoria medicea fu in grado di realizzare
in Firenze, di cui il convento di San Marco e la Badia Fiesolana
sono parte integrante. Prima ancora della grandiosa biografia
esposta nelle Vite Vespasiano aveva già parlato di Cosimo,
nello specifico ricordando proprio la frenetica attività
del signore fiorentino nel "murare". Così scrive in un'interessante
lettera ad Alfonso Fernandez de Palentia (lettera
25), di mano dell'Acciaiuoli, dopo aver ricordato la fioritura
degli studi portata dall'avvento dell'Argiropulo:
Preterea hec nostra urbs novis edificiis pulcrior in dies ornatiorque efficitur. Incredibile dictu est quanto studio cives ad construendas egregias domos et publica erigenda edificia mentes converterint. Cosmus ipse clarissimus vir nunc privatas domos, nunc sacras edes, nunc monasteria tum in urbe tum extra urbem tot tantisque sumptibus condit, ut antiquorum vel Imperatorum vel Regum magnificentiam equare videantur.
Dopo Cosimo la biblioteca privata medicea venne integrata di nuovi codici per opera dei figli Piero e Giovanni, che concentrarono la loro attività di commissione e acquisto di nuovi manoscritti principalmente lungo il corso del 1450 e gli inizi del 1460 (cfr. Pintor, p. 189 e Piccolomini, Ricerche, p. 104).
Dalle lettere rimaste sappiamo che Vespasiano contribuì in
modo consistente alla formazione delle raccolte private dei
due fratelli de' Medici Piero e Giovanni. Gherardo del Ciriagio,
uno dei più attivi copisti di Vespasiano, lavorò lungamente
per Giovanni. Sappiamo anche che nell'agosto del 1457 Giovanni
aveva chiesto a Malatesta Novello, signore di Cesena il codice
di Donato sopra Terenzio, allo scopo di farlo trascrivere da
Vespasiano. Il Malatesta rispondeva che a Cesena imperversava
la peste, e il codice l'avrebbe mandato solo dopo la fine dell'epidemia,
dopo averlo fatto collazionare dall'Aurispa. Sappiamo anche
che in quell'estate in Firenze lavoravano per Giovanni copisti,
a cui sovrintendeva Vespasiano, e che, durante un'assenza del
librario, il lavoro andava a rilento. Solo con il suo ritorno
in città e con l'arrivo del Donato da Cesena, nel dicembre del
1457, il lavoro riprese a ritmi sostenuti (cfr. Rossi,
L'indole, pp. 54-59 e Cagni,
Vespasiano, pp. 55-56.).
Del rapporto con Giovanni rimangono solo testimonianze indirette,
in quanto la corrispondenza, che sicuramente vi è stata,
è perduta. Tre lettere, tutte inviate dal libraio nel
1458, documentano invece le relazioni con Piero. Si parla solo
di libri: un primo volume di Plinio è già completato
e "Ser Benedetto" ha finito un secondo, riccamente miniato (lettera
17); "Messer Marco", copista in stretta correlazione con
Vespasiano, ha concluso la raccolta delle Vite plutarchee, pur
con grandi difficoltà nel reperire esemplari (lettera
18); Piero Strozzi, altro copista molto legato a Vespasiano,
ha realizzato un set delle Decadi di Livio, miniate da Filippo
Torelli (lettera 19). Nell'ultima
lettera (lettera 19), del
giugno dello stesso anno, i volumi, tutti identificati, sono
pronti per la consegna.
L'inventario di Piero del 1465 riporta l'organizzazione dei
codici come dal canone di Decembrio, autore di una Politia literaria.
Qui risulta quello che doveva essere il canone degli autori
profani latini "dove son prescritti, senza contare le versioni
dal greco, 37 autori in 42 volumi; e gli autori si trovano distribuiti
in categorie: poeti, oratori, filosofi, storici, grammatici,
sacri" (Sabbadini,
Le scoperte, p. 201).
Due lettere attestano l'esistenza di un rapporto con Lorenzo
il Magnifico che, oltre ad essere incentrato sull'incremento
della collezione libraria medicea, mostra una confidenza e una
familiarità assente invece nelle Vite. Vespasiano, infatti,
se dedica a Cosimo una lunga e dettagliata biografia, ignora
Lorenzo, che viene raramente menzionato nella raccolta degli
uomini illustri. Quando incidentalmente il discorso cade sul
Magnifico il nostro libraio non mostra peraltro grande entusiasmo.
Nella prima lettera, del 1472, l'argomento sono ancora i libri
(lettera 31). Prima Vespasiano
sollecita il Magnifico ad acquisire i dieci volumi degli opera
omnia di Sant'Agostino, realizzati per il cardinal Bessarione,
morto quello stesso anno. Opera superlativa, costata tempo e
fatica, e, a detta del libraio, la cosa più degna prodotta
in Italia. Quindi richiama alla mente del Magnifico il discorso
fatto sul "sito di quella libreria", vale a dire la sistemazione
definitiva della biblioteca medicea privata. Vespasiano informa
Lorenzo di averne già parlato con Alfonso d'Aragona,
Alessandro Sforza e Federico da Montefeltro, tre artefici di
ricche e grandiose biblioteche, i quali, a detta del libraio,
pare abbiano elogiato l'iniziativa. L'intento di Vespasiano
è quindi spingere il Magnifico a superare l'operato di
illustri duchi ed autorevoli signori contemporanei, realizzando
la sede ultima per un deposito che costituiva la più
ricca raccolta libraria del Quattrocento.
D'altra parte Lorenzo allargò la base degli acquisti della famiglia
facendo in special modo posto ai codici greci, esclusi dai suoi
predecessori (cfr. Sabbadini,
Le scoperte, p. 192); con lui la biblioteca arrivò a quattrocento
codici latini (cfr. Piccolimini,
Intorno, p. 117) circa e duecentocinquanta greci (cfr. Sabbadini,
Le scoperte, p. 55). Arricchendo particolarmente la sezione
in lingua greca, il Magnifico trasformò la fisionomia della
raccolta familiare ordinando a partire dagli anni Ottanta copie
di testi destinati a dare completezza alla biblioteca e a renderla
esauriente luogo di ricerca. Ma il progetto non venne portato
a termine e bisognò attendere il Cinquecento perché i volumi
della collezione medicea trovassero degna sistemazione nell'attuale
sede.
Nella seconda lettera (lettera
32), scritta nel marzo 1476, non si parla di libri ma di
un evento personale. Vespasiano chiede l'aiuto e l'intermediazione
del Magnifico per risolvere un problema: Bartolomeo d'Antonio,
detto il "Baccino", fatto entrare in casa Bisticci da Jacopo,
fratello di Vespasiano, per la sua dubbia condotta, venne cacciato
dalla dimora di via de' Bardi. Per vendicarsi Bartolomeo rientrò
in casa per distruggere alcune suppellettili. Vespasiano chiede
quindi aiuto al Magnifico perché "sia resa giustizia
di un'offesa a torto patita" (Frizzi,
Vespasiano, p. 88).
Possiamo comunque supporre che Vespasiano rifornisse ancora
la biblioteca Medicea durante gli anni settanta del Quattrocento.
La fiducia del Magnifico in Vespasiano trova conferma anche
nella corrispondenza di Lorenzo con Federico da Montefeltro.
Proprio la protezione accordata, prima da Cosimo e poi da Lorenzo,
contribuì a rendere gradita a Vespasiano la signoria di questa
famiglia, anche se spesso ingombrante e dalle scelte politiche
poco condivisibili, che era andata commissionando volumi al
libraio fin dall'inizio della sua giovane attività, dimostrando
grande amore bibliofilo e autentica passione per la conoscenza
della cultura classica.
La famiglia Acciaiuoli
Come attesta la raccolta delle lettere, anche agli amici più intimi Vespasiano procurava esemplari, dedicando forse una maggiore attenzione filologica alla qualità finale dei manoscritti e prestando una cura speciale nell'esecuzione materiale. Anche perché i personaggi più vicini a Vespasiano, in prima battuta Donato Acciauoli e Giannozzo Manetti, sono due illustri rappresentanti della cultura umanistica, abili esegeti della tradizione antica e autori di eccezione di testi fondamentali per la storia dell'umanesimo e per le vicende della ricezione dei classici.
Con gli Acciaiuoli Vespasiano aveva stabilito un forte legame
e un'assidua frequentazione. Della sicuramente numerosa corrispondenza
che Vespasiano scambiò, quasi quotidianamente nei periodi
di lontananza, con Donato, Piero
e Jacopo, ci sono rimaste solo poche testimonianze.
Cinque lettere in totale ricevute da Vespasiano: due da Donato
(lettera 1 e 21),
due da Jacopo (lettera 23
e 24) e una da Piero (lettera
22).
Dalle lettere scritte da Donato si intuisce una grande fraternità
e una solida amicizia. Nella prima missiva (lettera
1), datata 1446 - in cui Donato lo appella "Vespasiano mio
dolcissimo" e si dichiara "Donato tuo" - desumiamo che il libraio
fiorentino è assiduo frequentatore di casa Acciaiuoli
(visto che l'amico umanista gli comunica che "grata ci sarebbe
stata la venuta tua") e che la corrispondenza sicuramente precede
il 1446 ("le lettere le quali [...] ci mandasti"). Nella seconda
lettera (lettera 21), scritta
nel 1462 e inviata da Poppi, si parla invece di codici già
ricevuti dall'Acciaiuoli e di altri che Donato sta aspettando
da Vespasiano. La frequentazione della bottega del Bargello
da parte di Donato è fatto certo, ed è altrettanto
certo che commissionò lavori a Vespasiano. Non solo ce
lo conferma l'unica lettera rimasta, che tratta dell'argomento,
ma anche la dichiarazione catastale di Donato del 1457 in cui
viene denunciato un recente acquisto di libri (cfr. Ganz,
A Florentine Friendship, p. 374). Denuncia assente nelle
dichiarazioni catastali precedenti, cosa che fa pensare a quanto
valesse l'amicizia con Vespasiano nell'ottenere codici, anche
a titolo gratuito. D'altronde bisogna riflettere sul fatto che
Donato fece da segretario a Vespasiano, sicuramente per il periodo
1448-1449. Lo attestano le numerose lettere in latino, autografe
dell'Acciaiuoli, spedite a nome di Vespasiano ad alcuni clienti
(lettera 2, 3,
4, 5).
Lettere necessarie a espletare le pratiche della produzione
manoscritta e risolvere le questioni relative alla realizzazione
di codici richiesti dai committenti. Questa partecipazione al
commercio di Vespasiano valse probabilmente a Donato non solo
ad avere copie di codici ma anche una primazia nella consultazione
degli ingressi bibliografici in bottega.
I soggiorni di Vespasiano presso la residenza di Montegufoni,
di proprietà della famiglia Acciaiuoli, erano frequenti.
Di particolare interesse il fatto che il soggiorno campano fosse
momento di ritrovo ameno, ma anche luogo eletto per la discussione
su questioni di ordine filosofico e teologico. A questo proposito
sono particolarmente significative due lettere di Giannozzo
Manetti a Vespasiano, che trattano di argomenti sollevati durante
una permanenza collettiva a Monte Gufone, presenti il Manetti,
l'Acciaiuoli e lo stesso Vespasiano: la prima lettera è
relativa alla questione della precedenza della nascita di Mosè
rispetto a quella di Omero (lettera
6), la seconda verte sul problema dei bambini morti prima
del battesimo (lettera 7).
Rispetto a quest'ultimo spinoso problema il Manetti, scrivendo
nello stesso giorno a Vespasiano e Donato, esprime la sua posizione,
che ricalca le teorie agostiniane, in antitesi alle teorie dei
due amici e corrispondenti. D'altronde è questo il periodo
in cui la venuta in Firenze dell'Argiropulo (1457), per volontà
anche dello stesso Acciaiuoli ma anche di Vespasiano, segna
un periodo di dedizione agli studi filosofici di tradizione
platonica e il progressivo apprendimento della lingua e della
cultura greca.
Ancora nel 1461 l'intermediazione di Donato Acciaiuoli è
necessaria per l'attività professionale di Vespasiano
(lettera 20). La lettera
in questione riguarda l'esigenza del nostro libraio di ottenere
un compenso per un lavoro realizzato per il Jouffroy, e conoscere
la volontà dell'abate del monastero di Luxeil, cliente
francese di Vespasiano, rispetto ad altri testi ecclesiastici
già prodotti o di prossima copia, a seconda dei desiderata
del religioso.
L'ultima lettera scritta da Donato per Vespasiano è la
già menzionata epistola ad Alfonso Fernandez de Palentia
del 1463 (lettera 25).
Nella prima parte della missiva l'Acciaiuoli parla della situazione
culturale fiorentina dell'epoca; nella seconda parte elogia
l'abilità di Vespasiano, che si prepara a reperire manoscritti
per il vescovo di Siviglia Alfonso de Fonseca e ha commissionato
un volgarizzamento dei Saturnalia di Macrobio: una sorta di
propaganda per convincere Alfonso all'acquisto di codici prodotti
dal capace libraio.
Dopo questa data le vite dei due paiono separarsi e divergere.
Da un lato per l'intensa attività di Vespasiano, che negli anni
sessanta del Quattrocento si dedica alla copia dei libri per
la Badia di Fiesole e alla produzione e vendita di volumi per
i Medici, dall'altro per l'avvicendarsi degli incarichi politici
di Donato, sempre per la famiglia de' Medici, che tra il 1460
e il 1470 sono particolarmente assidui, impegnativi e costellati
da molteplici missioni diplomatiche (cfr. in particolare Ganz,
Donato, pp. 33-73).
Ma dopo il 1470 si possono recuperare le fila del rapporto.
Se per le prime opere dell'Acciaiuoli, dedicate a Cosimo e quindi
a Piero de' Medici (le traduzioni dell'Etica e della Politica
di Aristotele, la traduzione delle Vite plutarchee di Demetrio
e Alcibiade, le Vite di Scipione e Annibale e più tardi il volgarizzamento
delle Storie fiorentine del Bruni) non è dato conoscere il ruolo
di Vespasiano è certo invece che per il commentario sulla Politica
di Aristotele, una delle ultime fatiche dell'Acciaiuoli, composto
per l'urbinate Federico da Montefeltro, fu Vespasiano il consigliere
e il tramite. La vita di Donato di Neri Acciaiuoli (Vite,
p. 586 [II, 21]), composta da Vespasiano, ben documenta le fasi
dell'esistenza di Donato e gli ultimi anni della sua vita, stroncata
prima ancora di arrivare ai cinquant'anni.
Anche con Piero Acciaiuoli, fratello di Donato, Vespasiano ebbe
rapporti di amicizia. Ce lo conferma l'unica lettera rimasta
(lettera 22), scritta da
Piero per mettere al corrente Vespasiano di vicende d'arme;
epistola con la quale l'Acciaiuoli si rivolge libraio con tono
affettuoso e che ci fa intuire come altre lettere precedettero
la missiva e come assiduo fosse il carteggio. Di lui Vespasiano
redasse anche la vita (Vite,
p. 567 [II, 1]). Oltre ad usare parole di stima ed ammirazione
nei confronti del compare, Vespasiano a lungo si sofferma, ancora
una volta, sulla venuta dell'Argiropulo in Firenze e sulla partecipazione
dei giovani fiorentini alle sue lezioni, allo scopo di apprendere
le "lettere greche". E anche i due fratelli Acciaiuoli vi parteciparono.
Iacopo Ammannati Piccolomini
Ma Vespasiano non dimentica anche la lezione di Iacopo Ammannati Piccolomini, a lungo precettore in casa Acciaiuoli. Nell'unica lettera rimasta (lettera 41) è l'Ammanati che chiede a Vespasiano di trovare una serie di opere di Platone e possiamo dunque supporre che il nostro libraio abbia contribuito alla raccolta privata del cardinale pavese. Interessante soprattutto rilevare che il mediatore fu Donato Acciaiuoli. Affermazione che non deduciamo dalla missiva dell'Ammannati a Vespasiano, ma dalla corrispondenza intrattenuta dal cardinale con il discepolo, suo fornitore di codici; a lui l'Ammannati si rivolge per conoscere la collocazione di certi codici e per ottenerne copia tramite la bottega di Vespasiano, evidentemente alla luce del rapporto di confidenza che legava il libraio a Donato. Con l'Ammannati Donato discorre spesso di libri ed è sempre Vespasiano il tramite per il loro reperimento: da una lettera conservata nel manoscritto magliabechiano, che raccoglie per la maggior parte lettere di Donato (Magl. VIII 1390), veniamo a sapere che l'Ammannati cerca un Plutarco latino e Vespasiano gliel'ha trovato (cfr. Ganz, Donato, p. 255). La figura dell'Ammannati è dunque importante soprattutto per la vicenda del rapporto personale con Donato Acciaiuoli. Il suo ruolo di precettore ancora si manifesta in una serie di correzioni interlineari negli scritti del discepolo, e in una nota contestuale esplicativa, a voler istruire il giovane sull'uso del vocabolario e sulla scelta del lessico pertinente (lettera 2 e 3).
Giannozzo Manetti
In Giannozzo Manetti, assiduo frequentatore della bottega del Bargello, Vespasiano riconosce non solo un maestro, ma un amico, affezionato e sincero. Otto lettere rimaste, tutte inviate dal Manetti al libraio, lasciano intuire che esistesse una corrispondenza ininterrotta e frequente, che testimonia la stima e l'ammirazione reciproca, nonché la fiducia che il Manetti ripose nell'amico libraio. È la figura più cara a Vespasiano, che il nostro ritrae non solo tracciandone la vita ma sviluppando un articolato Commentario (Vite, p. 453 [I, 485] e Vite, p. 1053 [II, 519]). Oltre alle già citate lettere di argomento teologico-filosofico (lettera 6 e 7), i due non mancano di scambiare informazioni su temi dalla natura più varia: si va dall'orazione funebre scritta dal Manetti in onore di Giannozzo Pandolfini (lettera 14) ai ringraziamenti dell'umanista per la comunicazione di Vespasiano della morte della moglie dello stesso Manetti (lettera 15), dal terremoto che colpì Napoli nel 1456 (lettera 13) alle discussioni su libri da reperire o da far realizzare (lettera 11 e 12).
Di Manetti sappiamo che, fiero antimediceo, venne esiliato da Firenze nel 1453 e riparò a Roma presso Niccolò V, quindi, nel 1455, a Napoli, a servizio degli aragonesi, dove rimase fino alla morte. Nonostante il forzato esilio del Manetti, costretto a fuggire per la persecuzione operata da Cosimo de' Medici, lo scambio epistolare con Vespasiano non viene mai interrotto. Anzi il Manetti tiene al corrente Vespasiano delle vicissitudini alterne, comunicandogli, per primo, della sua sistemazione presso la corte aragonese.
Per quanto riguarda la biblioteca privata dell'umanista sicuramente Vespasiano contribuì; alla formazione della raccolta (cfr. Cagni, I codici Vaticani, pp. 1-43), come si evince dalle commissioni che risultano da due delle lettere inviate dal Manetti al libraio (lettera 11 e 12). E, come sempre, il nostro biografo non manca di far menzione, nelle Vite, della passione per i libri della maggior parte dei personaggi ritratti. Anche del Manetti quindi Vespasiano ricorda la passione di trarre copia dei codici che non poteva acquistare e il grande numero di volumi che era riuscito a radunare, soprattutto testi in ebraico, in special modo la Bibbia, testi giuridici, di diritto civile e canonico (cfr. Cagni, Vespasiano, p. 70), e testi di medicina. Sappiamo che l'umanista possedeva una ricca collezione di manoscritti, molti dei quali erano stati del Petrarca e del Salutati, ma aveva anche manoscritti di contemporanei e altri copiati da lui stesso o dal figlio Agnolo (cfr. De la Mare, New research, p. 423).
Biblioteca di natura particolare sarebbe stata la biblioteca pubblica ipotizzata dal Manetti, che espresse il desiderio di collocare i suoi volumi in S. Spirito, dove già erano conservati i libri del Boccaccio. Vespasiano, attento e puntuale biografo del Manetti, ci racconta che l'umanista non intendeva collocarvi tutti i numerosi manoscritti posseduti, ma solo le opere prodotto della sua penna, affinché fossero disponibili per tutti gli studiosi interessati alla loro consultazione. Lo stesso Vespasiano ci informa che la morte non gli consentì di portare a compimento il progetto. Interessante rilevare che, dopo la morte del Manetti, Vespasiano acquistò dal figlio Agnolo alcuni volumi per la Badia di Fiesole (cfr. De la mare, New research, App. II, i, d e Cagni, Agnolo Manetti, p. 304-305).
Gli aragonesi
Sono fitti e confidenziali i rapporti che Vespasiano intrattenne
con gli aragonesi. Nelle lettere non si parla mai di codici,
ma è da supporre che l'intervento del libraio ci sia stato,
anche se probabilmente limitato, visto l'elevato numero di copisti
privati che i regnanti avevano alle loro dipendenze.
Pontano nel suo De principe liber dedicato al reale
discepolo Alfonso, duca di Calabria, parla di un concetto formativo,
vale a dire la necessità di una cultura letteraria per l'uomo
politico e ricorda, parlando di Alfonso il Magnanimo, "Avus,
numquam sine libris in expeditionem profectus, tentorium in
quo asservabantur iuxta se poni iubebat". Alfonso perpetua la
passione per i libri e la sete di conoscenza dell'avo e trova
nel libraio fiorentino un abile esecutore materiale del suo
desiderio.
Lo scambio epistolare è incentrato principalmente su questioni di ordine politico. Nelle tre lettere inviate da Ferdinando (Ferrante) d'Aragona tra il 1467 e il 1468, e scritte a nome del suo segretario, Antonello Petrucci d'Aversa, il libraio viene sempre ringraziato per sue precedenti missive, andate purtroppo perdute, ma tutte databili, grazie alle indicazioni di Ferrante. Nella prima lettera Vespasiano viene sollecitato a mettere il re aragonese al corrente delle cose che "sucedeno de la", vale a dire in Firenze (lettera 27); nella seconda ringraziato per le molte informazioni contenute in una precedente missiva (lettera 28). Interessante notare che in questa missiva Ferrante risponde ad una preoccupazione del libraio di fatti "perturbaturi de la quiete de Italia", a dimostrare ancora l'attenzione di Vespasiano per la stabilità della situazione politica.
Per finire il libraio viene messo al corrente dei preparativi
alla imminente guerra e dell'onore ricevuto in Firenze da Alfonso,
duca di Calabria (lettera 29).
Curioso che Vespasiano informasse il regnante aragonese circa
questioni politiche e militari. Lo dimostrano le due lettere
scritte invece dal libraio ad Alfonso. Nella prima, del marzo
del 1468 (lettera 29) l'umanista
racconta ad Alfonso fatti d'arme, relativi alle lega che Firenze,
Napoli e Milano, su approvazione del pontefice, avevano costituito
contro Venezia e segnala l'attesa della pace. Nella seconda,
del settembre del 1481 (lettera
37), scritta in occasione del recupero aragonese di Otranto,
caduta nelle mani dei turchi, Vespasiano paragona Alfonso ai
grandi condottieri della storia e a capitani moderni.
Il fatto che esistesse un'assidua corrispondenza fra Vespasiano
e gli Aragonesi e che questi ultimi appoggiassero l'attività
del libraio è cosa certa. Lo conferma non solo il privilegio
accordato a Vespasiano, per agevolare il suo commercio (lettera
23 e 24), ma anche
le due lettere, scritte da Ferrante a Piero de' Medici nel 1467
e da Alfonso a Lorenzo il Magnifico nel 1469, nelle quali Vespasiano
viene grandemente elogiato e caldamente raccomandato dai regnanti
aragonesi.
La famiglia Pandolfini
Con tre esponenti della celebre famiglia fiorentina dei Pandofini risultano frequentazioni epistolari, per la precisione sono attestate quattro lettere spedite da Vespasiano: una a Filippo (lettera 43), una a Giovanni (lettera 40), e due a Pierfilippo (lettera 38 e 42).
Altri corrispondenti illustri
Risultano invece assenti dal carteggio figure importanti nell'esistenza di Vespasiano, menzionati nelle lettere, ma mai diretti corrispondenti: il cardinal Bessarione, Mattia Corvino, Federico da Montefeltro e il pontefice Niccolò V.