Messer Gianozzo Manetti a Vespasiano
salute.
Egli è più dì ch'io ricevetti una tua, alla quale non ho potuto
prima fare risposta per molte et varie occhupationi publice di
questa nostra benedecta città, le quali quanto più fuggho, tanto
più a ghara mi corrono dietro. Et io vorrei pure in queste cose
gratificare a Dio, al quale io sono certo che lle piacciono grandemente,
et satisfare a me medesimo et al debito che mi pare avere verso
la patria, poiché la m'ingenerò, che Idio gliel perdoni, ch'ella
m'ha dato et dà et darà sempre bigha; et io ho facto, fo et farò
durante la vita il contrario a llei sine intermissione, benché
lui paia essere certo ch'io non abbi avere né altro grado né altro
merito che l'usato. Pure nientedimeno io spero et confidomi nell'eterno
giudice qui non mentitur, et retribuet unicuique secundum opera
sua, et qui scrutatur corda et renes, Deus.
Et
per questa cagione io vi metto tempo assai, per non lasciare alchuna
cosa adietro che s'appartengha o alla degnità di qualunque magistrato
io habbia, o a qualunche commissione mi sia facta. Et quando io
mi trovavo degli Otto al tempo degli altri Priori, ne
fe' parecchi pruove, peroché in verità in quel tempo l'ufficio
nostro governava il tutto; et poi, al tempo de' presenti, ho avuto
anchora circa all'ordinatione s'è presa de' facti del Comune pur
delle brighe et noie assai. Et pertanto ti priegho
m'ametta la schusa del non t'avere prima risposto.
Tu prendi scusa del non m'avere scripto prima, la quale in verità
è molto gentile et è dirittamente oratoria. Et benché tu sia dotato
di buono ingegno più che non si richiede all'arte et alla professione
tua, credo nientedimeno che tu l'abbi presa più tosto dall'artificio
che dalla natura: che mi piace assai, perché intendo che a un
tracto tu faccia un viaggio et parecchi servigi, perché tu fuggi
la morìa consolandoti cogli amici e 'mpari le cose gentili da
cotesti gharzoni, che in verità sono una coppia la quale è, come
dice el poeta, rara
avis in terris nigroque simillima cigno. Preterea
tu impari quell'arte che fa i suoi professori avanzano gli altri
huomini. Hoc enim, ut inquit Cicero, prestamus
vel maxime feris: quod loquimur inter nos et quod exprimere dicendo
sensa possumus. Et alibi verba hec ponit: Ac mihi quidem videntur
homines, cum multis rebus humiliores et infirmiores sint, hac
re maxime bestiis prestare: quod loqui possint. Quare preclarum
mihi quiddam videtur adeptus qui, qua re bestiis homines prestent,
ea in re hominibus ipsis antecellat.
Siché io mi rallegro teco di tutte queste tue comodità, et prego
Idio che te le conservi, accrescha et dìetene lungha consolatione;
et te conforto a seguitare nel buono et laudabile proposito.
Tu di' non m'avere scripto benché n'avessi et voglia
et desiderio solamente perché quando tu consideravi d'avere
a scrivere ad me, il quale tu riputi sì docto et sì
valente, che tu dubitavi non ti fusse imputato a presumptione
lo scrivermi; et etiandio avevi sospecto di non satisfarmi nello
scrivermi. Ad che ti rispondo che, ben ch'io cognoscha che questo
sia un gentile colore rethorico, nientedimeno quando e' fusse
come scrivi tu sai bene che noi siamo amici, et che la buona
amicitia, quale io credo che sia la nostra non può essere
nisi inter pares. Siché, quantunque per aventura io mi
trovassi avere qualche prelatione più di te in genere
eruditionis et doctrine, per rispecto nientedimeno della nostra
amicita tra noi cape ogni cosa. Et se pur avessi quella opinione
di me che tu scrivi che potrebbe essere più tosto per
la grande et singulare affectione che tu m'hai portato et porti,
che per altro rispecto te ne ringratio et rimàngotene
assai obligato. Facis enim amice. Et basti quanto a questa parte.
All'altra dove tu mi richiedi che io t'avisi chi fu prima o Moysè
o Homero, ti rispondo che, benché et della patria et de' tempi
apunto
della natività d'Homero si diano varie et diverse opinioni degli
scriptori greci et latini, nientedimeno egli è certo supputata
temporum ratione, que quidem, ut inquit Hyeronimus, cronica historia
continetur che Moysè fu assai prima che Homero, secondo qualunque
opinione s'avesse de' tempi della sua natività. Et nota la ragione
chiara che si trahe d'Eusebio De temporibus, il quale
il trahe del libro del Genesi: Moysè nasce dopo la creatione de
mondo anni circa 3600, a cuius quidem nativitate usque ad captivitatem
Troie sono circa d'anni 410, perché la captività di Troia fu nel
quattromiladieci a creatione mundi; et Homero nella su Yliade
scrive de bello Troiano, de obsidione urbis et de eius captivitate,
siché convenne che necessariamente e' fusse poi, quando come poeta
simile allo historico ché in quel poema egli è mezo historico
describit bellica Grecorum et Troianorum gesta. Necessario di
sapere è adunche che Moysè fusse innanzi a Homero, et per questa
cagione mi pare avere satisfacto alla tua richiesta.
Ma, se tu desiderassi quanto tempo la natività di Moysè precedesse
quella d'Homero, ti dicho che questo è più difficile, per le varie
et diverse opinioni che n'hanno gli scriptori, che forse non sono
in minore numero che quegli che scrivono della patria sua, peroché
non solo quegli de' quali fa mentione Tullio nella oratione Pro
Archia poëta, ma etiandio septe città contendono della
patria d'Homero. Et Tullio non fa mentione se non di quattro his
verbis:
Homerum Colofonij civem esse dicunt suum, Chij suum vindicant, Salaminij repetunt, Smirnei vero suum esse confirmant; permulti alij preterea pugnant inter se atque contendunt. Et appresso a' Greci si truova la varietà di septe città, come io ho decto. Il Bocchaccio nelle sue Geneologie ne fa expressa mentione, et contale in questi due versiculi, tracti di non so che poeta greco: Samos, Smirne, Chios, Colofon, Pilos, Argos et Athene de Homeri patria, contendunt. Et perché tu possa considerare quale è maggiore o minore varietà degli scriptori o della patria o della natività sua, ti porrò inanzi le parole che scrive Eusebio in libro De temporibus, cuius hec verba sunt: Quodam commemini codicis loco Pyrrus Delphis in templo Apollinis ab Horeste occiditur proditione sacerdotis Macarei, quo tempore quidam Homerum fuisse dicunt. Et poco più giù anni circa di 50 scrive in questa forma: Anno mundi octuagesimo millesimo quarto - che nel 4080 Homerus, secundum quorundam opinionem, his fuisse temporibus vindicatur. Quanta vero de eo apud veteres dissonantia fuerit, manifestum esse poterit ex sequentibus. Quidam eum ante descensum Heraclidarum ponunt, Aristoteles post centesimum annum Troiane captivitatis, Aristarcus Jonica emigratione sive post annos centum, Phiheorus emigrationis Jonice tempore sub Arseippi Atheniensium magistratu et post captam Troiam anni centum octuaginta, Apollodorus Atheniensis post ducentesimumbquadragesimum annum eversionis Ylij. Extiterunt alij qui modico tempore antequam Olimpiades inciperent, quadringentesimo circiter Troiane captivitatis anno, eum fuisse putent, licet Archilocus vigesimatertia Olimpiade et quintum Troiane eversionis annum supputet.
Haec Eusebius. Ex
quibus palam et aperte Moysem longe Homericae nativitatis tempora
precessisse et non minorem forte diversorum opinionis veterum
scriptorum varietatem de nativitate quam de patria sua extitisse
colligitur. Peroché, se le predette septe città contendono tra
lloro della patria d'Homero, similmente troverrai septe varie
opinioni della sua natività, come di sopra manifestamente apparisce.
Hora io t'ho scripto in fretta et senza troppa consideratione,
et però dubito di non t'avere così bene satisfacto come tu disiderresti.
Imputalo alle occupationi, quibus undique tanquam molibus et obicibus
quibusdam opprimor; sed Deus, ut spero, qui non deserit sperantes
in se, adiutor erit in tribulationibus quae varie et omnifariam
hinc inde circumferuntur. Et habbi patientia alla lunghezza della
lettera, colla quale io ho voluto ristorare la tardità della risposta.
Vale et meo nomine meisque verbis plurimas salutes Jacobo, Petro
et Donato precipuis et singularibus amicis et necessariis nostris
dicito. Iterum vale et me ut soles ama.