Giovanni,
io ho scritto a Lucha
degl'Albizi una letera
<che> sarà chon questa: mandala, e per Bastiano
la mandi. Sommi alargato assai chon di<r>gli
apertamente quello intendo. Conoscho che la mag<i>ore
carestia abino gl'uomini sia che non abino chi dicha loro il
vero. Sai che papa
Nichola diceva che si riputava infilicie per
none entrare persona drento ala sogl<i>a
del uscio dela camera sua che dicesse il vero di cosa ch'egli
'ntendesse; e papa
Pio diceva che a
Lodi e a Piagenza andava ognuno volentieri, ma che a Verona
non si trovava chi vi volesse andare. Io, per
none inchorere in questo erore a Lucha e Alesandro, sono ito
a Verona.
Io m'aposi ieri dela petitione, che la non si vincerebbe, e
che Bernardo
vi parlerebbe suso temperatamente, e meterebela una volta o
dua; e così intendo ch'egli ha fatto. Antonio
Corsini deb'esere tornato a dormire a casa,
ch'è una vergogna che la Signoria sia condotta avere
a far a senno de' Colegi. Nofri
Seristori dicie che va ala via di frate
Girolamo e non s'è inteso chol Gonfaloniere.
Vedi dove noi siamo
condotti! Bisogna che Iddio sia quello aconci queste cose lui,
poiché gl'uomini no<n>
sono bastanti a potello fare loro. Guai a quella città
che viene in mano del popolo: che vedi che Aristotele la danna,
e metelo per lo più pesimo governo che sia, e chiamalo
feccia del popolo, in latino fes
popularis; e noi ci siamo drento infino agl'ochi!
Le guerre civili sono la più pesima chosa abbi una città,
donde seguitò la rovina di Roma, e di qui naque Mario
e Silla che guastorono Roma, che vedi che a uno suono d'una
tromba furono morti ventimila cittadini. Queste discordie si
vegono sono dond'hanno origine le discordie civili, perché,
come dicie Petrarcha, che
questa è l'usanza de' citadini, che l'uno infiamma l'altro,
e di qui naschono le guerre civili. A Firenze
è già venuto questo principio. E se ttu cercherai
l'origine di queste guerre, troverai ch'e sua difetti sono di
ciaschuno citadino per sé. Seguita il Petrarcha: E
se mi cercherai il suo origine, troverai che la sua radice è
negli errori e difetti di ciascheduno citadino per sé.
Seguita una cosa
<che> è quella dela quale io t'amunischo:
che tu guardi che tu non sia uno di quegli che nutrichi il fuocho
civile chol tuo sofiare e chole tua legne; pensa se tu conosci
a Firenze ignuno che facci quest'arte. Nota bene le parole del
Petrarcha circha le discordie de' citadini, e credo che, al
mondo non sia il mag<i>ore
male di questo; e però vedi quello che dicie: De'
mali del mondo ignuno male è più da piagnere che
'l male civile, anche come da moltisimi gravi
iscritori pare che ignuno altro si può chiamare male,
considerato il male civile. Nele discordie de' citadini si vuole
esere mezano a cercare la pacie fra loro; e se questo non vale,
almeno tieni la parte dela libertà e dela g<i>ustitia
dela tua città, se ttu dovessi bene ri manere solo. Una
città, cioè Roma, te ne può dare l'esenpro.
Nelle
discordie delle città, quando uno citadino è confinato,
pare sia danno propio; ma chi bene lo considera, c<i>ò
è danno di tuti i citadini.
Questo di questa letera ch'io t'ho iscritto si può riputare
chosa miracolosa. Avend'io iscritta una parte e andando in camera,
in su uno descho trovai una vita di quello ti scrivo del Petrarcha
che no<n>
potrebbe esere più a proposito
<che> è delle cose vanno
atorno.
Se 'l Cavalcante
intendesse quello t'ho scritto, direi mostragl<i>ela;
ma egli no<n>
lo intenderebbe. Gusta bene le cose ci sono, che sono a proposito
de' presenti tempi. A tte mi racomando.
Adì 24 d'aprile <1497>.
Vespasiano
[a tergo]
Modestisimo iuveni Giovanni di Pierfilippo Pandolfini.