Vespasiano a Filippo Pandolfini
salute.
In questi dì passati ti scrissi per un'altra mia, e per
quella ti mostrai la miseria et infelicità nostra, et
quanto dalla vera via ci discostamo, e come a ogni cosa pensamo,
e alla salute nostra no, come se a noi no<n>
tochasse.
Parlai dipoi techo e mostrà<i>ti come tu ti disviavi anchora
tu dalla vera via; erravi là assai, volendo tu che il vedere tu
molti avere roba e chol mezo di quella avere onore e riputatione,
e alegavi ch'e tua passati erano istati in questa medesima conditione,
e tu essere volto a volere fare questo medesimo; et arguivi questo
desiderio essere in noi naturale, e molto disputamo circha questo.
Mostrà<i>ti
come questa tua ardente volontà <che>
avevi tu, tutta procedeva dall'abito avevi fatto per lunga consuetudine,
dove e del continovo lo seguitavi, a conversare con chi ti confermava
in questa opinione, facendo lui quello medesimo. Ora, egl'è
necessario ti mostri per questa mia lettera come dala nostra
pura e senplice natura noi siamo inchinati naturalmente al bene;
e se manchamento ignuno c'è, è da noi e dala corrotta
natura, e none dalla semplice. La
corrutione dela natura procede dalla cativa consuetudine o vogliamo
dire usanza, dala quale si forma l'abito o buono, facendo le
buone usanze, o cativo, dale cative.
E per questo, legendo in questi dì una pìstola
di Sancto Girolamo, dove questa materia è trattata sotilmente,
e trahertene altro frutto che dele pìstole di Tullio,
e massime per la nostra salute, tutto il fondamento di questo
edificio è o dela salute o dela dannatione nostra, e
tutto dipende da' nostri principii nel piglare
forma ala vita nostra: e questo istà, com'è iscritto
di sopra, o dalla buona consuetudine o dala cativa. Ignuno peccato
si comette per nicistà, ma per volontà nostra,
nela quale è posto il volere o il no<n> volere, secondo
che a llei pare; e mai pensa volere fare ignuno, che la non
abi chi glelo
niega, drento da sé no<n> lo facci; e questa volontà
viene o più o meno, secondo o la buona o la cativa consuetudine
hai fatta. E non sia ignuno si scusò, avendoci Iddio
creati a fine che tutti ci salviamo e accioché noi none
incolpiamo la bene ordinata natura, o che noi conosciamo questo
essere dalla volontà nostra volontario, e none isforzato.
Ora, sendoci alcune cose molte oscure, m'ingegnerò falle
più chiare potrò. Legesi nel Genesis che Simeone,
Levi e frategli avevano consumata, cioè compiuta, la
loro volontà per la sua iniquità. Iddio parla
agl'abitatori di Gerusaleme e dice: Perché gl'hanno lasciate
le mia vie, le quali io posi inanzi alla loro faccia, e non
hanno exaudita la voce mia, ma sono andati dopo la volontà
de<l> loro reo cuore. E il Profeta dice: Voi avete pechato
inanzi, e none avete udita la voce sua, e i sua comandamenti
none avete voluti fare. Anchora Isaia parla in nome di Dio e
dice così: Si voi vorete e con efecto me udirete, voi
mangerete i beni che la terra produce; ma se voi no<n> mi udirete,
sarete consumati e morti. A questo medesimo <modo> parla
Iddio a Gerusalemme e dice: Jerusalemme, Jerusalemme, che occidi
i profeti e lapidi choloro i quali ti sono mandati, quante volte
ho io voluto ragunare i tua figlioli come raguna la gallina
i sua pulsini sotto l'alia, e non hai voluto!
Dove adunche noi vegiamo volere e non volere, elegere e rifiutare
essere nella volontà nostra. Qui si conosce non essere se none
dalla libertà nostra, e none forzato, perché le elecioni è in
noi proprii.
Molti sarebono gl'esempri si potrebono inducere circha questo
medesimo, e sonne pieni tutti i libri del Vecchio e del Nuovo
Testamento, dove si mostra il bene e il male essere dalla volontà
nostra. E così, se l'attribuisce overo si le concede,
o veramente che noi difendiamo e non concediamo il bene della
natura, in tal modo, che cho' cussì chom'ella può
fare bene, il simile ela possi fare male, essendo capace chosì
del bene come del male; ma solamente la difendiamo da questa
ing<i>uria,
che pel vicio di lei al male fare noi siamo isforzati: i quali
o bene o male, sanza la volontà nostra - nela quale volontà
è sempre il potere fare o l'uno o l'altro - n'abiamo
libertà ed in noi istà. Ond'è egli che
alcuni giudicheranno e alcuni saranno giudicati, se none che
in una medesima natura è la volontà? E bene che
tutti possiamo adoperare a mio medesimo modo, no<n>dimeno
questo, noi non facciamo il bene per avere fatto l'abito cativo
che alquanto ha mutata la natura nostra nel operare, a farsi
più tardi al bene e più prompti al male: con tutto
che questo no<n> muta la natura, ma falla più tarda nel
operare.
E a fine che questo più chiaro si vegga, lo mostreremo
per qualche esempro. Adamo fu del paradiso caciato ed Enoche
fu cavato del mondo e messo in paradiso. In ciascuno di questi
dua Iddio ci dimostra la libertà delo albitrio, imperoché
come poteva piacere cholui che pechò, così poteva
pechare colui che piaque, e none altrimenti dal giusto Iddio
cholui meritò d'essere punito, e cholui - cioè
Enoche - d'essere eletto. Ognuno di loro il bene e 'l male poteva
operare.
Per ignuna altra cagione a noi è difficile fare il bene,
se none per l'usanza di vicii e de' pechati, avendone fatta
lunga consuetudine: la quale consuetudine abiamo cominciata
dalla nostra pueritia, a pocho a pocho seguitando per molti
anni, avendo corotta la natura. Avendo fatta questa maladetta
consuetudine, chol tempo ci tiene tanto istretta e legata, che
pare che la mala usanza abbi tanta forza in noi, quanto se la
fusse un'altra natura: tutto questo tempo il quale negligentemente
abiamo passato e nel quale ci siamo ingegnati essere rei, nella
quale ha provocato la malicia e la inocentia, ed era riputata
istoltitia. Quando poi vogliamo fare alcun bene e fare resistentia
al male, ed egli ci dà bataglia contro alla nuova volontà
ne' resistere al male, combatte la vechia usanza de' vizi che
noi abiamo fatto habito. E noi ci maraviglamo
che, vivendo noi otiosi sanza ignuna virtù, e voremo
ci fusse data la santità quasi da altri e none da noi,
che avendo noi imparato a fare male, ignuna usanza abiamo di
fare alcun bene.
Infino a qui del bene e forza dela natura nostra mostro <ho>
quello possa il bene e 'l male, e che tutto è della propria
volontà nostra. E questo è necessario avere mostro,
per levare via tutto quello potevi allegare in tua difesa e
per fare la via della giustitia più piana e più
aperta, accioché per quella tu possi più facilmente
andare, conoscendo in quella non essere ignuna cosa difficile
o aspra a fare. Con ciò sia cosa che molti nella legge
della natura, inanzi che Moisè l'avesse da Dio, il mondo
si governò sanza legge che furono anni dumila o più
che 'l mondo si governò chola legge naturale, cioè
che quello gli dava la natura vi furono molti visseno sanctissimamente
e operorono ogni ispecie di virtù. Quanto istimi tu ora,
dopo l'avenimento del Unigenito Figluolo
di Dio, si debbe istimare e credere che noi possiamo fare quello
medesimo o più <che>
no<n> fecio<no>
quegli sanza legge e sanza quella gratia abiamo noi al presente,
d'essere ricomperati e riformati? Essendo per lo suo precioso
Sangue purgati e mondati, e per lo suo exemplo alla perfetta
vita siamo provocati e confortati; e per questo debiamo essere
molto migliori che no<n> quegli furono inanzi alla legge: e però
dice l'Apostolo che 'l peccato non debbe signoreggiarci né
avere potentia in noi, perché noi non siamo sotto la
legge, ma sotto la gratia.
Tu ha' veduto per quante potente ragioni s'è provato per Sancto
Girolamo che il bene e il male bisogna proceda da noi. Se noi
opreremo bene, secondo si conosce il potere essere in noi, ne
seguiterà la nostra salute; facendo l'oposito dela quale cosa
Iddio ci liberi ne seguiterà la nostra eterna dannatione: dela
qual chosa l'onipotente Iddio ci liberi.
Più obrigho ha' tu nel divino cospetto di Dio <che>
non arà un altro, ave<ndo>
tu avuto chi t'ha a questo confortato e colle <pa>role
a voce viva, e chole lettere. Istima che sono molti che, se
avessino avuto questo mezo, non sarebbono <incor>si
negl'erori sono. E se tu vi se' incorso che non lo so e tu <sei>
tornato di poi a emendarti de' tui erori, non solo ti bisogna
<nel>
bene il perseverare, ma purghare i pechati hai fatti <inan>zi
tu sia emendato: ma pùrgagli nel divino conspecto.
<A>dio. Legi questa epistola atentamente e pensala bene,
<per>ché è piena di gravissime sententie.